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Venerdì 30 Aprile 2004  

Cassano – A scuola a piedi: per loro non c’è posto – Don Foscaldi: « Come cittadini à umiliante vedere un padre che rinuncia ad ore di lavoro per accompagnare i figli a scuola»

A scuola a piedi perché sullo scuolabus non c'è posto: la storia di tre bimbi marocchini e dei loro genitori. Fosse un racconto, sarebbe forse un episodio da libro Cuore. Invece, è solo la cruda storia di un piccolo calvario quotidiano e di diritti negati. Ne sono protagonisti Mohamed Barakat e la sua famiglia. Le carte svelano: il capofamiglia dei Barakat, trentanove anni compiuti lo scorso Capodanno, parte dal suo Marocco, a caccia di fortuna, nel 1993. Arriva in Italia, sceglie Cassano. In Patria ha lasciato la moglie, Milouda, e due figli, Ilyass e Hamada, cui più tardi se ne aggiungerà un terzo, Abdeikah. Nel Belpaese lo attendono invece un lavoro da commerciante ed un sogno: potersi presto riunire alla famiglia lontana. Agli inizi del 2004 la speranza a lungo coltivata diventa frutto da cogliere e gustare. Il cittadino Barakat, con l'aiuto dei suoi amici italiani, i volontari dell'associazione "II Samaritano" e della parrocchia lauropolitana dei Sacri Cuori, ottiene dalla Questura il ricongiungimento familiare. Milouda ed i tre fanciulli riabbracciano il padre. Insieme iniziano la nuova vita, in una casa di rione Campo Sportivo. Mohamed Barakat ha un desiderio: che i figli abbiano quel che lui non ha potuto avere. Che studino, imparino l'italiano, possano spiccare il volo, forti di saggezza e cultura. liyass, 13 anni; Hamada, 11; Abdeikah, appena sette. I Barakat junior bussano alle porte dell'istituto comprensivo "Giuseppe Troccoli": iscritti. Frequentano i corsi di inserimento nelle aule di via San Nicola. Hanno un solo problema: non sanno come andare a scuola. A casa nessuno possiede un auto. La zona di residenza, poi, non è servita da mezzi di trasporto pubblici. Non restano che i piedi: ogni giorno, due volte al giorno per tutti i giorni dell'anno scolastico, Mohamed chiude bottega, prende per mano i tre bambini e s'incammina con loro: un chilometro all'andata, altrettanto al ritorno. Da rione Ponte Nuovo a Lauropoli e viceversa, con la pioggia ed il sole, tra il vento e la nebbia. La Caritas diocesana ed il suo direttore, don Attilio Foscaldi, si rivolgono al Municipio. Non avanzano richieste esorbitanti: semplicemente, chiedono che ai Barakat sia consentito usufruire del servizio di trasporto scolastico. Il 31 marzo 2004 una prima lettera resta carta straccia: Palazzo di città promette ma non mantiene. Tre settimane dopo, la Caritas torna alla carica. «Come cittadini – scrive don Foscaldi in una seconda missiva, indirizzata al commissario prefettizio - è umiliante vedere un padre che rinuncia ad ore di lavoro per accompagnare i propri figli a scuola, a piedi, percorrendo chilometri con qualsiasi condizione climatica». Le risposte, sollecitate, non ci sono neppure stavolta. La palla delle responsabilità rimbalza tra il Municipio e la ditta che gestisce gli scuolabus municipale: le buone intenzioni non fanno difetto, ma la realtà si presenta ogni giorno identica a se stessa. Vede un padre e trée vivaci bambini scarpinare su è giù per le strade di periferia. Vanno a scuola, inseguono un futuro. A piedi. Sul pullman dei diritti, a quanto pare, per loro non c'è posto.

Gianpaolo Iacobini

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